“Nerone”: i Labate padroni indiscussi del Gebbione

ConfReggio20marzodi Angela Panzera - Il Gebbione è loro. I Labate , alias "ti mangiu", si sentono i padroni indiscussi del quartiere alla periferia sud di Reggio Calabria. Nonostante le numerose operazioni di polizia che hanno visto il clan essere seppellito da anni e anni di carcere, i sequestri di beni che hanno disintegrato il loro patrimonio e quello dei loro prestanome, quando c'è da intervenire nel "rione" i Labate non si tirano indietro e operano con violenza e crudeltà non guardando in faccia nessuno. Neanche le donne e bambini. È con l'accusa di tentato omicidio plurimo aggravato e incendio doloso che questa mattina è finito in carcere il boss Antonino Labate, ritenuto il reggente della 'ndrina in seguito all'arresto del fratello Pietro, altro storico capocosca. La vicenda è a dir poco sconcertante. Una brutta storia che mostra, ancora una volta, lo strapotere che la 'ndrangheta esercita sul territorio. Il boss Labate avrebbe incendiato un'abitazione la sera del 27 febbraio scorso. Lì dimorava una donna, di 46 anni e di origine rumena, che aveva occupato abusivamente quella casa fatiscente. L'alternativa sarebbe stata andare a dormire per strada e quella struttura era meglio di niente. Quella sera in quella casa c'erano altre cinque persone, fra cui due bambini, tutti di origine rumena. Stavano festeggiando il compleanno di uno dei bimbi. Doveva essere un momento felice. In pochi minuti però, quel momento conviviale è divenuto una tragedia. Sarebbe stata invece, una strage se i vigili del fuoco e gli agenti della polizia di Stato non fossero intervenuti. Cosa aveva mai fatto questa donna? Era "colpevole" di aver gettato l'immondizia nei pressi del terreno del boss. Secondo la Dda reggina infatti, la mattina del 27 febbraio la donna aveva abbandonato alcuni sacchetti della spazzatura accanto all'ingresso di un podere di Labate. La donna non aveva la minima idea che quel terreno fosse della 'ndrangheta. Ma in pochi minuti l'ha capito. Ne ha capito la violenza e l'atroce ferocia. Stando all'inchiesta "Nerone", prima di mettere a segno il suo piano vendicativo, Labate avrebbe minacciato la donna arrivando fino a malmenarla con un bastone di legno. Come un vecchio maestro di scuola, Labate l'avrebbe colpita sulla mano; quella stessa mano che aveva osato gettare i rifiuti vicino alla sua proprietà. "Vi brucio vivi" avrebbe detto Labate alla donna. Detto, fatto. Il pomeriggio seguente eccolo recarsi ad un distributore di benzina della zona. Cinque, sei, forse sette litri potevano bastare. Successivamente si avvia verso quella casa fatiscente e cosparge il portone di benzina. Le fiamme ci impiegano pochi secondi a divampare. Fortunatamente tutti scappano attraverso una via vicino al retro dell'immobile. La donna però, non ce la fa a saltare un muretto e allora trova una coperta e tenta di uscire divincolandosi tra le fiamme. I vigili del fuoco e i poliziotti la salvano e mettono a riparo anche gli altri connazionali. Miracolosamente sono tutti salvi; solo uno dei due bambini ha riportato qualche lieve ferita. Le indagini della Squadra mobile partono subito. Gli investigatori sequestrano i filmati delle telecamere sia del distributore di benzina che di quelle vicino alla casa dove aveva trovato riparo la donna. In entrambi si vede il boss Labate. La scena viene ripresa nitidamente. Lo si vede quando si reca alla pompa di benzina e riempe il bidone dirigendosi successivamente verso l'immobile in cui abitava la donna. Così come si vede la mattina del 27 febbraio, sempre grazie alle telecamere, la donna gettare l'immondizia sul ciglio della strada e parlare animosamente con un uomo. Quell'uomo che secondo l'Antimafia è il boss Labate. "Questa indagine- ha affermato stamani in conferenza stampa il Questore reggino Raffaele Grassi- dimostra ancora una volta la risposta immediata dello Stato. In pochissimo tempo abbiamo ricostruito i fatti e proceduto a far luce sull'accaduto". Parole di soddisfazione arrivano anche da Gaetano Paci, procuratore vicario di Reggio Calabria. "Labate – ha dichiarato Paci- si sentiva il padrone indiscusso di quel territorio. Anche per un banale episodio, come è quello da cui è scaturito il tutto, la 'ndrangheta deve intervenire. Un intervento finalizzato al pieno controllo del territorio. Non si poteva lasciare correre. Labate è intervenuto subito per riaffermare il suo dominio criminale". L'inchiesta è stata coordinata oltre che dalla Dda anche dalla Procura ordinaria, ed in particolare dal pm Marco Lojodice, retta dal procuratore aggiunto Gerardo Dominijanni il quale ha sottolineato che "in questo episodio Labate si è voluto sostituire allo Stato. Il gesto è di una gravità inaudita considerato che il boss appiccando il fuoco con quelle modalità, tipicamente mafiosa, voleva sterminare tutti i presenti nell'immobile".

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"I Labate- ha affermato invece il capo della Squadra mobile Francesco Rattà- pensano di controllare la vita e ogni battito cardiaco dei cittadini che abitano in quel territorio. Anche per le vicende più banali non si fanno alcuno scrupolo ad intervenire direttamente. Il boss è passato dalle parole ai fatti e non importa che quell'episodio sia in fondo banale. Lì decide lui e gli strumenti sono quelli tipici della 'ndrangheta". Le indagini condotte dal la Squadra mobile si sono avvalse, oltre alle risultanze dei tecnici del Gabinetto regionale di Polizia scientifica e all'ausilio dei Vigili del fuoco, anche grazie alle dichiarazioni della donna, vittima dell'ira del boss Labate. Nonostante il timore per la sua incolumità ha raccontato tutto agli investigatori e al momento è stata avviata la procedura affinché venga protetta. "Siamo ancora al lavoro- ha dichiarato il commissario capo Paolo Valenti, in servizio alla Mobile reggina. Abbiamo effettuato perquisizioni e accertamenti per eseguire i dovuti riscontri. Abbiamo sequestrato le scarpe in uso al Labate per rinvenire eventuali tracce e indizi".